Tratto dal libro "Mobbing - storia di una donna che non si arrende" di Caterina Ferraro Pelle.
"Il mobber è portato a credere che nessun ostacolo si frapponga fra lui e la sua decisione di disfarsi della vittima. Questo è un notevolissimo punto a favore per il molestato. Essere sottovalutati da un superiore che ipervaluta se stesso permette di agire quasi indisturbati nella costruzione della propria difesa.
Si pensi ad una partita di tennis, alla regola secondo la quale, dopo il quaranta, si abbandona il conteggio dei punti con l’aiuto dei numeri.
Dal momento in cui si è in parità, la partita, teoricamente, potrebbe andare avanti all’infinito. In questo caso, perde chi si stanca di più, chi abbandona la concentrazione, chi ha meno energie. Non meno fortuna. Nel tennis la fortuna è nell’abilità del giocatore.
In prima analisi potrebbe sembrare che la vittima sia destinata a perdere. In realtà, la condizione di mobbizzato costringe ad un allenamento continuo, senza soste che sembra sfiancare ed invece fortifica. Al tempo opportuno, quando occorre mostrare la propria capacità di resistenza, il mobber è il più debole.
Vediamo perché. Il mobbizzato, isolato dal contesto della struttura ed assegnato a compiti dequalificanti, dispone certamente di una quantità di tempo per riflettere maggiore di quella che il mobber dedica, e con disdegno, al problema. Il successo, per il mobber, è scontato, conseguito a tavolino: l’arbitro è dalla sua, il pubblico certamente lo sostiene, dunque, per lui, dare peso alle doti dell’avversario potrebbe addirittura produrre effetti indesiderati quali l’impressione di paventare un risultato diverso dalla vittoria. Al mobbizzato non resta che lasciar fare alla pallina. I colpi del mobber sono conosciuti e scontati, provengono sempre dalla stessa direzione, con identica, distratta potenza. Il palleggio prolungato è di gran lunga preferibile al tentativo di mosse a sorpresa. Rispondere ai colpi con altrettanta distrazione, ma solo apparente, accresce la paradossale possibilità, esistente nelle regole del tennis, che a perdere la partita sia chi segna più punti.
Nel tennis il singolo gioco si aggiudica, infatti, assegnando punti nella successione di 15-30-40-vittoria, e se i giocatori sono sul punteggio di 40-40 consegue la vittoria chi guadagna due vantaggi consecutivi. Per vincere un gioco, un tennista deve superare l'avversario sempre di almeno 2 punti. Ora, per esempio: se due giocatori, che chiameremo Ga e Gb, che disputino una partita al meglio di tre set terminassero nel modo seguente:
primo set: Ga 6 e Gb 0;
secondo set: Ga 4 e Gb 6
terzo set: Ga 5 e Gb 7,
totale punti Ga = 15 totale punti Gb = 13
concludendolo ai vantaggi, si aggiudicherebbe la partita Gb, che, come si è visto, in totale avrebbe messo a segno un numero minore di colpi vincenti rispetto all'avversario.
.........................Nella competizione sul campo del mobbing, un campo fatto di scrivanie, telefoni, poltrone, i colpi sono sferrati senza nessuna pietà. Gli avversari, il mobber ed il mobbizzato, provano, come si è già visto, sentimenti diversi, ma la volontà di averla vinta spinge entrambi ad essere accaniti"
Si pensi ad una partita di tennis, alla regola secondo la quale, dopo il quaranta, si abbandona il conteggio dei punti con l’aiuto dei numeri.
Dal momento in cui si è in parità, la partita, teoricamente, potrebbe andare avanti all’infinito. In questo caso, perde chi si stanca di più, chi abbandona la concentrazione, chi ha meno energie. Non meno fortuna. Nel tennis la fortuna è nell’abilità del giocatore.
In prima analisi potrebbe sembrare che la vittima sia destinata a perdere. In realtà, la condizione di mobbizzato costringe ad un allenamento continuo, senza soste che sembra sfiancare ed invece fortifica. Al tempo opportuno, quando occorre mostrare la propria capacità di resistenza, il mobber è il più debole.
Vediamo perché. Il mobbizzato, isolato dal contesto della struttura ed assegnato a compiti dequalificanti, dispone certamente di una quantità di tempo per riflettere maggiore di quella che il mobber dedica, e con disdegno, al problema. Il successo, per il mobber, è scontato, conseguito a tavolino: l’arbitro è dalla sua, il pubblico certamente lo sostiene, dunque, per lui, dare peso alle doti dell’avversario potrebbe addirittura produrre effetti indesiderati quali l’impressione di paventare un risultato diverso dalla vittoria. Al mobbizzato non resta che lasciar fare alla pallina. I colpi del mobber sono conosciuti e scontati, provengono sempre dalla stessa direzione, con identica, distratta potenza. Il palleggio prolungato è di gran lunga preferibile al tentativo di mosse a sorpresa. Rispondere ai colpi con altrettanta distrazione, ma solo apparente, accresce la paradossale possibilità, esistente nelle regole del tennis, che a perdere la partita sia chi segna più punti.
Nel tennis il singolo gioco si aggiudica, infatti, assegnando punti nella successione di 15-30-40-vittoria, e se i giocatori sono sul punteggio di 40-40 consegue la vittoria chi guadagna due vantaggi consecutivi. Per vincere un gioco, un tennista deve superare l'avversario sempre di almeno 2 punti. Ora, per esempio: se due giocatori, che chiameremo Ga e Gb, che disputino una partita al meglio di tre set terminassero nel modo seguente:
primo set: Ga 6 e Gb 0;
secondo set: Ga 4 e Gb 6
terzo set: Ga 5 e Gb 7,
totale punti Ga = 15 totale punti Gb = 13
concludendolo ai vantaggi, si aggiudicherebbe la partita Gb, che, come si è visto, in totale avrebbe messo a segno un numero minore di colpi vincenti rispetto all'avversario.
.........................Nella competizione sul campo del mobbing, un campo fatto di scrivanie, telefoni, poltrone, i colpi sono sferrati senza nessuna pietà. Gli avversari, il mobber ed il mobbizzato, provano, come si è già visto, sentimenti diversi, ma la volontà di averla vinta spinge entrambi ad essere accaniti"
Grazie Caterina
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