Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

sabato 21 dicembre 2013

E' tempo di auguri


Spesso, aspettare che il fiume porti via il cadavere del proprio nemico è una attesa che si rivela inutile. La realtà si dimostra troppo spesso ineluttabilmente distante da ciò che il sentimento di giustizia, che alberga in ciascuno di noi, avverte come doveroso e opportuno. Ma accade anche, a volte, che il destino si prenda e ci dia delle soddisfazioni: e quando avviene è giusto condividerle.
La realtà aziendale in cui lavoravo era in piedi grazie ai numeri che faceva. Che faceva grazie a me, e grazie ad alcuni altri che sono stati fatti fuori, nello stesso modo – vile e ingiusto – che è toccato a me. Ora accade che quella realtà abbia numeri ben diversi. Che la pongono in basso nella classifica: esattamente all’ultimo posto.
La mia nuova attività è diretta concorrente del mio vecchio aguzzino. E ora sto cominciando a vincere io.
Il mio augurio per questo Natale e per il prossimo anno, è che altrettanto accada a chiunque, ingiustamente vessato, capiti su questa pagina per trarne un conforto.

venerdì 19 luglio 2013

Impressioni di un Anonimo

Steve: alcuni commenti meritano di essere messi in evidenza.

"Non so come sono arrivato a questo punto, ma ci sono arrivato.
Probabilmente è colpa della mia educazione. È sicuramente colpa dei miei genitori che mi hanno educato nella regola “stai sempre dalla parte dei più deboli”.
Grave errore. L’ho scoperto qui. Almeno per due motivi:
1. I più forti faranno di tutto per spezzarti
2. I più deboli non è detto che siano anche i più buoni.
Il primo punto mi ha sempre stimolato. Lottare per ciò che è giusto mi è sempre piaciuto. Ho sempre cercato il potere nella ragione, ed avere ragione mi dava un senso di appagamento difficile da spiegare. Mai con cattiveria. Sempre nel completo Fair Play. Perdere in questo campo comporta sempre l’aver imparato qualcosa di nuovo. Imparare dai forti ti rende migliore.
Ma il secondo punto mi ha devastato. Sconvolge i tuoi orientamenti, sgretola i tuoi riferimenti e ti getta in pieno deserto. Non riesci più a fidarti di nessuno e ti chiedi: “dove ho sbagliato?”
Ecco da dove è iniziato. È iniziato il giorno in cui ho cominciato a lavorare “per l’azienda”.
E allora pensi che sei tu ad essere sbagliato, che anche se hai una laurea scientifica non è detto che i tuoi conti sono esatti. Che anche se l’azienda butta denaro dalla finestra, non sei tu che devi risparmiare. La politica prima di tutto.
E allora impari.. Prima devi corteggiare le persone importanti, essere simpatico ed invitarli a cena, parlare di auto e di calcio. Devi entrare nella lobby vincente. Devi entrare tra i forti. Ma poi, tu stesso, sarai abbastanza coraggioso da voler cambiare?
Nessuno vuole cambiare. Nessuno vuole lavorare in modo diverso. Nessuno è soddisfatto del proprio lavoro.
Ma tu non sei così. Ti viene il voltastomaco dopo pochi minuti che fingi interesse nella partita di coppa mentre qualche operaio sta morendo di amianto. Non riesci a chiudere gli occhi di fronte al marcio. E neanche la bocca purtroppo.
E magicamente il cambiamento arriva. Di Gattopardiana memoria, il cambiamento c’è, affinché nulla cambi.
E tutti cambiano atteggiamento nei tuoi confronti. Resti solo e accerchiato.
Il tuo lavoro subisce una trasformazione che fa rabbrividire. Il fare tanto in poco tempo si è tramutato in fare poco in tanto tempo. Non hai più contatti né con clienti né con fornitori. Ti trovi a creare presentazioni che poi forse qualcun altro andrà a presentare, altrimenti resteranno lì abbandonate.
E più sgomiti, più mostri la tua inquietudine claustrofobica e più loro capiscono che stanno facendo un ottimo lavoro.
E allora ti adatti. Fingi un sorriso di chi non ha nulla da temere ed impieghi il tuo tempo a fare quello che prima non sopportavi vedere fare agli altri: solitari, sbadigli, internet.
Ma stai fingendo e lo sai meglio di tutti gli altri. Diventi paranoico e pensi che tutti siano contro di te. Tra te e te urli al complotto.
Pensi non solo che sei inutile, ma che stai perdendo le tue qualità che avevi faticosamente appreso in anni di università e di lavoro matto e disperatissimo. Che ogni giorno passato qui dentro ti rovina il futuro e ti brucia una settimana di conoscenze pregresse. E quando avrai azzerato le tue capacità sarai finalmente conforme al sistema e pronto a lottare contro il nuovo ragazzetto che tenterà di fare quello in cui tu hai fallito. Perché “anche lui deve imparare come si sta al mondo!”
Disgustato te ne vai a casa con una pietra di fango sulla bocca dello stomaco. Trovi scuse per saltare il lavoro. Vai a donare il sangue per avere un giorno di lavoro in meno e perché, in fin dei conti, è meglio dare il sangue per uno sconosciuto che per l’azienda.
Ti senti sporco. Sai che stai facendo il furbo e che meriti il licenziamento. E pensi “poco male”, ma non voi arrenderti. Anche se volessi non riesci più ad adeguarti, né ad integrarti.
L’orgoglio si fonde alla depressione, il bipolarismo lavorativo coesiste in te. Un giorno pensi che non può durare in eterno, ed il giorno dopo ti disperi perché non vedi la fine del tunnel. Ma in entrambi i casi, solo tu ne uscirai profondamente cambiato. Purtroppo in peggio"

mercoledì 22 maggio 2013

Oltre al danno, la beffa

La città in cui vivo non è piccolissima, ma neanche tanto grande: 25.000 abitanti. Non ci si conosce proprio tutti, ma io lo ero abbastanza per il lavoro che facevo, essendo a continuo contatto con la clientela.
Non avevo fatto i conti con "la gente". Il fatto di aver perso il lavoro non è passato inosservato: così in tanti si sono interrogati sui motivi. Ed ovviamente questo diventa un terreno fertilissimo per inventare storie e seminare sospetti.
Sono venuto a sapere di una voce che circola sul mio conto, e chissà da quanto tempo: io sarei stato "cacciato", per aver compiuto "operazioni illecite".
Al danno, dunque, si aggiunge anche la beffa, e fa molto male. Il mobbing che ho subito non è stato abbastanza, bisogna distruggermi non solo fisicamente, non solo economicamente, ma anche nella mia onorabilità, qualcosa che per una vita non era mai stata messa in discussione da nessuno.
"La gente" ovviamente non può sapere ciò che si consumava, ai miei danni, in quell'ufficio: e così il mio aguzzino passa per una persona rispettabile e stimata.

giovedì 16 maggio 2013

Da mobbizzati ad assassini

Oggi la tv ha dato la notizia di un duplice omicidio, avvenuto a Milano: un operaio ha ucciso i suoi datori di lavoro, da cui avrebbe subito delle vessazioni.
In un forum sul mobbing, ho trovato questo messaggio:
 
"Oggi mi sono trovata ad applaudire un omicida mentre ascoltavo il tg1: a Casate, zona Milano, un ex dipendente ha ucciso i suoi ex datori di lavoro dopo anni di vessazioni e dopo che il giorno prima gli hanno detto "Non farti vedere domani al lavoro" o qualcosa di simile.. Non mi capivo mentre applaudivo con grande soddisfazione; io che applaudo un assassino? io che sono quella che cerco di non mangiare carne per eliminare un pò di sofferenza e che è semmai troppo buona? ma niente, la mia persona andava avanti e dicevo "bravo hai fatto bene Almeno hai avuto giustizia subito, sicuro e senza penare ancora di più per averla" Non è vero, se si uccide ci si macchia anche di una colpa più grande perché si ha ucciso definitivamente ma applaudivo.. felice e soddisfatta. Cosa dovrei pensare?.."
 
Questa è stata la mia risposta:
 
"Ammetto di aver provato le tue stesse sensazioni. Se effettivamente l'assassino subiva quello che sappiamo, riusciamo a comprendere che era arrivato ad un punto in cui, l'alternativa, sarebbe stata il suicidio o la lenta morte per mobbing. Forse è stata una legittima difesa: ma finire in carcere non è che la degna conclusione di una vita da schiavo. Quindi non dobbiamo arrivare a questo, la sofferenza non può e non deve essere una giustificazione, perché noi siamo meglio di loro. Dovrebbe essere solo un buon motivo per cominciare a pensare ad una legge contro il mobbing, una legge seria e soprattutto concretamente applicata, che impedisca sia queste eclatanti tragedie, sia quelle più silenziose, che si consumano nella solitudine e nell'indifferenza generale."

martedì 1 gennaio 2013

Il mio augurio per il 2013


Inizia il nuovo anno e intravedo finalmente qualcosa di positivo, una possibilità di tornare nel mondo del lavoro del tutto inaspettata, per di più pienamente adeguata al mio livello professionale. Nulla di concreto, solo una prospettiva possibile, ma abbastanza delineata perché l’umore cambi, si ritorni ad essere consapevoli delle proprie capacità. Mi capita di pensare che una persona preparata ed onesta, anche in una società corrotta come quella in cui viviamo, debba trovare per forza una collocazione. Al tempo stesso la prudenza e l’esperienza fin qui fatta mi impongono la massima cautela, e la piacevolezza di questa possibile svolta viene congelata con una iniezione di forzata disillusione. Vedremo...
Il mio augurio per il 2013 è che ognuno possa avere dalla vita ciò che effettivamente merita, nel bene e nel male: la causa di tanti mali deriva proprio dal fatto che quasi sempre questa elementare regola di giustizia non trova applicazione.