Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

sabato 9 aprile 2011

Come avvoltoi


Sono come avvoltoi. Ormai non attaccano più: aspettano. Sanno benissimo che è solo questione di tempo: prima o poi dovrò cercare di recuperare la mia vita, andarmene, trovare un altro lavoro, altra gente, ritrovare il piacere di fare quello che so fare, di creare, di avere ambizioni… E’in effetti quello che voglio con tutte le mie forze, ma è anche qualcosa di molto difficile alla mia età, nel mio settore. Quindi la mia sofferenza è amplificata dalla disperazione di non avere alternative, dal terrore di perdere la partita senza avere la possibilità di ricostruire ciò che ho perso.
Quello che non smetto mai di chiedermi è: perché accade tutto questo? Perché l’animo umano è capace di partorire cattiverie simili? Come fanno a stare in pace con la loro coscienza?
In realtà non smetto, nonostante l’età, di meravigliarmi di quanto io continui ad essere sostanzialmente un ingenuo. Così a volte mi illudo che qualcosa stia cambiando, quando vedo qualcuno di loro che si avvicina per parlarmi, non manifestandomi la consueta ostilità... ma è solo un attimo, poi tutto torna come prima, peggio di prima. Come gli avvoltoi appunto, che si levano in volo e si avvicinano alla loro preda, ma vedendola ancora viva e reattiva se ne allontanano, tornando ad aspettare.
L’errore più grande è credere di avere intorno delle persone normali, delle persone che magari stanno sbagliando, di pensare possibile recuperare un rapporto con esse. E’ un errore determinato e giustificato dalla necessità di voler uscire da una situazione di emarginazione, ma rimane un errore. Perché una persona capace di fare tanto male al prossimo, senza provare rimorsi, non è una persona. Quindi è impossibile dialogare, trovare punti in comune. Cercare di farlo significa solo esporsi ad ulteriori rischi.
Il modo migliore per difendersi è quindi identificarli per ciò che realmente sono, degli avvoltoi. E dagli avvoltoi c’è solo un modo per difendersi: non mostrarsi mai deboli. Lo constato quando li guardo dritti negli occhi: abbassano subito lo sguardo e cominciano a parlare fra di loro, confermando quindi che la loro forza sta tutta nell’essere branco.

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