Chi scrive ha una storia lavorativa che nasce nel 1996. Prima semplice collaboratore, poi impiegato, infine capoufficio in una piccola azienda.
Ma la mia esperienza lavorativa ormai è alle spalle, il mobbing che ho subìto ha avuto la conseguenza di farmi perdere il posto di lavoro, ed anche la salute.
Questo blog rappresenta soprattutto un diario, molto parziale, di ciò che mi è capitato.
In esso potrete trovare anche notizie interessanti, informazioni utili, consigli, ma nè questo blog nè altri possono sostituire il supporto di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, oppure di uno psicologo. Il mio invito a quanti subiscono una situazione di disagio sul posto di lavoro è comunque quello innanzitutto di confrontarsi con altre persone che soffrono o hanno sofferto lo stesso problema: oggi lo si può fare molto facilmente anche attraverso Facebook, dove esistono - e sono purtroppo molto frequentati - gruppi che affrontano questa tematica.
Invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche in forma anonima: più se ne parla, meglio è!

sabato 11 agosto 2012

SE POTESSI TORNARE INDIETRO…

Quando ho cominciato a subire il mobbing, non sapevo neanche cosa significasse la parola “mobbing”.
Ero assolutamente impreparato a tutto quello che mi sarebbe capitato, così la mie iniziali reazioni furono solo di incredulità per ciò che mi stava accadendo. I miei pensieri erano: “tutto questo è assurdo”, “si renderà conto che non ha senso trattarmi in questo modo”, “ho la coscienza a posto, non ho nulla da temere”, “ho alle spalle anni ed anni di lavoro ineccepibile, non può essere così stupido da farmi fuori”, “molto presto tutto tornerà come prima”. Mentre pensavo tutto questo, montava un senso di rabbia, perché ciò che subivo era ingiusto, macroscopicamente ingiusto.
Sbagliavo. Le mie reazioni erano inadeguate - solo adesso lo capisco appieno – in quanto frutto di una ingenuità di fondo: ritenere che il dolore interiore che cominciavo a sentire fosse un fatto importante non solo per me, ma un valore assoluto da tutelare. Il pensare che questa sofferenza fosse ignota al mio datore di lavoro, conseguenza non voluta, il fatto che quando fosse stato a lui chiaro ciò che stava accadendo, si sarebbe ravveduto. Pensare che i diritti delle persone fossero valori consolidati in cui tutti credono. Pensare che c’è un livello di ragionevolezza condiviso.
Ero completamente fuori strada. In realtà il mobber aveva già pianificato tutto, aveva preso la razionale decisione di mettere in atto tutta una serie di azioni nei miei confronti, avendo chiaro l'obiettivo da raggiungere. Non solo ero vittima di una situazione che mi avrebbe poi portato alla malattia ed alla disoccupazione, ma ero anche assolutamente inconsapevole di quello che mi stava capitando, lo avrei scoperto solo a giochi fatti.
Non sapevo, non conoscevo, soprattutto non volevo credere.
Chi non ha mai avuto problemi di questo genere, reagisce, credo, come ho reagito io. Se invece fossi stato informato, avessi capito per tempo, non mi fossi illuso che tutto fosse un problema passeggero, avrei preso le mie contromisure. Avrei cominciato a mettere in atto tutte le strategie per difendermi dal mobbing, ampiamente illustrate anche in internet. Solo che tutti si informano quando è troppo tardi, esattamente come è capitato a me. Solo quando una cosa come questa invade la propria vita distruggendola, solo allora si capisce quanto sia importante parlarne, conoscere il fenomeno in tempo, coglierne subito i segnali, reagire prima che attecchisca. Almeno prepararsi il terreno per non essere impreparati poi, quando sarà un giudice a dover decidere. 

giovedì 9 agosto 2012

La mia esperienza presso la Clinica del Lavoro di Milano

Ansia, depressione, stress, sono fattori che, se causati dal mobbing, rappresentano già un valido motivo per chiamare in causa il mobber, ma possono rappresentare anche l'origine di più gravi patologie, come ad esempio l'infarto.
Il problema sta nel fatto che la vittima ha anche l'onere di dover dimostrare il nesso di causalità tra il mobbing e tali patologie. A questo fine, è indispensabile che il proprio stato patologico sia certificato da una struttura pubblica, e la Clinica del Lavoro di Milano è sicuramente uno dei centri più qualificati in Italia. Io mi sono recato in questo centro, e quanto segue è un resoconto della mia esperienza.
Nel complesso posso dire che si è trattato di una esperienza molto positiva: un centro davvero accogliente, un primario dai modi estremamente informali, uno staff cortese e disponibile, la percezione di una grande attenzione alle problematiche del paziente. Il primo impatto è stato con un altro paziente in sala d’attesa. In pochi minuti ci siamo raccontati le nostre storie, e come spesso accade mi sono reso conto che la mia non era certo la più drammatica. Mario (nome di fantasia), un uomo attorno ai 35/40 anni, con famiglia sulle spalle, dipendente presso una grossa azienda del nord, aveva subito un pesante demansionamento: da tecnico ad operaio, per finire con la scopa in mano a spazzare nei capannoni; infine licenziato durante la malattia. Nella sua triste vicenda si erano infatti aggiunti problemi molto gravi di salute, conseguenti a vessazioni di vario genere: violenze anche fisiche, addirittura un sequestro di persona all’interno dell’azienda, interrotto dall’intervento dei Carabinieri. Avrei voluto approfondire meglio la sua storia e aver modo di tenere un contatto con lui per il futuro, ma purtroppo le nostre strade si sono divise e dopo un breve saluto il giorno successivo non l’ho più visto. Durante la prima giornata ho ricostruito fin nei minimi dettagli la cronistoria della mia vicenda, dopo che già via fax avevo inviato una sintetica ricostruzione. Poi ho effettuato un test molto lungo, circa 600 domande riguardanti la mia personalità. Mi sono reso conto del fatto che, pur essendo tutte domande poste in modo differente, avevano una certa ciclicità negli argomenti, cioè molto spesso le stesse domande venivano ripetute con formulazioni differenti, probabilmente per verificare la veridicità delle risposte. Il giorno successivo invece ho effettuato un gran numero di test molto più brevi, che hanno scandagliato la mia vita in ogni direzione: lavoro, salute, sonno, relazioni sentimentali, sessualità, relazioni familiari, e sicuramente altre che ora non mi vengono in mente. Ho effettuato anche un test di intelligenza e addirittura dei disegni: dati degli stimoli visivi, dovevo completare seguendo la mia fantasia, dando infine un titolo al disegno che avevo creato. Successivamente ho avuto un lungo colloquio con una psicologa che inizialmente ha voluto ripercorrere i tratti salienti della mia storia, focalizzando però l’interesse sulle ripercussioni psicologiche che ne erano derivate. E’ andata molto a fondo nel far emergere tutte le situazioni non solo lavorative che avessero potuto in qualche modo influire nel mio equilibrio, ricostruendo la mia vita fin dall’infanzia. Questo è stato l’ultimo atto della mia due giorni a Milano, e mi sono congedato salutando tutti, in particolare il primario, responsabile della struttura, di cui è doveroso da parte mia sottolineare la grande gentilezza ed attenzione nei confronti di tutti i pazienti. I test sono stati molto approfonditi , certamente più che collaudati e quindi fondamentali per stabilire una diagnosi attendibile. Ma sono stati molto utili anche per me in quanto dover rispondere a molte domande ha significato anche sottopormi autonomamente ad una indagine su me stesso che non avevo mai avuto modo di realizzare senza questi strumenti. Estremamente interessante è stato l’incontro con la psicologa, che mi ha dato suggerimenti molto importanti; devo dire che al di là dell’aspetto puramente professionale ho colto anche una partecipazione effettiva ai miei problemi, un lato “umano” della medicina che spesso non constato più in tanti medici più orientati alla glorificazione di se stessi piuttosto che al servizio verso il paziente. In definitiva una esperienza che mi ha arricchito e che mi sento di consigliare a chi ne abbia in qualche modo necessità.