Per mettere fine a questa situazione basterebbe molto poco: dimettersi. Magari si riuscirebbe a farlo, vista la situazione, per giusta causa, ottenendo così l'indennità di mancato preavviso. Magari un buon avvocato riuscirebbe a farmi ottenere un piccolo risarcimento, magari a farmi riconoscere le ore di straordinario fin qui non pagate. Ma avrei però comunque perso, perché avrei perso il mio lavoro, senza aver fatto nulla per meritare questa fine... per non parlare della difficoltà, alla mia età, di trovare un nuovo posto... No, purtroppo con famiglia e mutuo da pagare non è possible dimettersi. L'unica cosa da fare è resistere. Guardarsi attorno, sperare di trovare l'alternativa, ma resistere, protrarre quanto più possibile questa agonia.
All'inizio era difficilissimo. Non si può far finta di nulla quando sei vittima di una colossale ingiustizia, non puoi fare a meno di pensare e chiederti perché, abbandonandoti al risentimento, ai peggiori sentimenti... Si affoga nel proprio odio, che non ti fa vedere la realtà, che ti condiziona anche quando sei fuori da quelle quattro mura. Quello che stai vivendo diviene l'unico pensiero, pian piano ti convinci che non finirà mai. Tutto finisce col perdere di significato, ti sorprendi quando qualcuno ti saluta cordialmente perché non sei più abituato al calore umano, finisci col credere che effetivamente non sei più capace di fare il lavoro che facevi prima. Col tempo ci si rassegna a questo. Ma non posso dire che ci si abitui, perché non ci si può abituare ad una ingiustizia; in piccolo, è un po' come stare in un carcere, dove all'inizio ci si sente spaesati e fuori luogo, ma poi col tempo si comincia a capire come muoversi per soffrire di meno. Ecco, per resistere io ho capito che quelle pochissime cose che potevo fare dovevo farle, dovevo e devo trovare degli stimoli per andare avanti. La prima cosa che ho fatto è cominciare a pensare di meno. Già: pensare può fare solo male, se i pensieri sono sempre gli stessi. Ho cominciato a tenermi più impegnato nei momenti liberi: vedere film, uscire, leggere libri. Se la mente comincia a focalizzarsi anche su altre cose, ci si convince che il lavoro è una parentesi nella propria vita, non la parte dominante. Il mio sforzo quotidiano è mettere davanti ai miei occhi la verità vera, non quella artefatta in cui non valgo nulla e non sono più in grado di fare niente: no, la verità è che io sono quello di sempre, sono solo quei tre che vogliono farmi sentire ciò che non sono. Nei loro confronti non devo provare odio e risentimento: no, soltanto commiserazione. Chi ha bisogno di comportarsi in quel modo per affermare la propria personalità - se così si può definire - è perché di fatto non ha altri modi, sono loro a non valere nulla, non io. Comincio a valorizzare alcuni comportamenti di alcuni collaboratori esterni che hanno capito tutto, e, con discrezione, mi lasciano intendere che non condividono quanto mi viene riservato. Non è molto e soprattutto non può cambiare le cose, ma mi aiutano psicologicamente, capisco così che non sono completamente solo, constato che la considerazione che tutti mi hanno sempre manifestato ancora esiste in qualcuno. Ho poi la fortuna di avere una famiglia, una moglie che mi ama e mi stima... certo mi chiedo come potrei fare senza di lei, come fa a resistere chi in queste situazioni è davvero solo. Mi aiuta molto anche scrivere in questo blog, un po' serve per sfogarmi, un po' per sperare di essere utile a qualcuno che vive la mia stessa condizione. Quella di oggi è stata finora una giornata molto dura, ma se anche una persona al mondo potrà trovare in quanto scrivo uno spunto per guardare al futuro con meno dolore nel cuore, vorrà dire che la mia giornata almeno sarà servita a qualcosa, e questa speranza mi dà forza e mi aiuta ad andare avanti.
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